Sperimentazione sugli animali:
le ragioni scientifiche

di Mario Campli


Se è concepibile intavolare un dibattito sulla liceità della ricerca sugli animali dal punto di vista etico, se è accettabile rilevare l'ingiustizia delle sofferenze inutili e gratuite degli animali dal punto di vista morale, è assolutamente fuori luogo discutere l'utilità e la validità della sperimentazione animale dal punto di vista scientifico. Le tesi degli animalisti secondo le quali la sperimentazione animale nella ricerca biomedica è dannosa, inutile e rappresenta addirittura una frode scientifica sono semplicemente (a volte mostruosamente) false.

Nonostante l'affermazione da parte degli attivisti animalisti che un numero crescente di medici e scienziati si batte per l'abolizione della sperimentazione animale, l'impiego degli animali nella ricerca biomedica continua. In campo scientifico se una tesi supera ogni possibile controllo, trova automaticamente il consenso da parte dell'intera comunità scientifica; così non è, evidentemente, per le idee dei cosiddetti comitati "scientifici" antivivisezionisti, che propugnano non la riduzione ma la completa abolizione di ogni forma di sperimentazione sugli animali perché questa sarebbe una pratica fallace e totalmente sostituibile. In tutto il mondo scienziati e ricercatori cercano di fare a meno della sperimentazione sugli animali, se questa è evitabile: nel corso degli ultimi venti anni il numero degli animali utilizzati nella sperimentazione è progressivamente diminuito, e tutte le pratiche sperimentali che hanno contribuito a restringere il campo di impiego degli animali nella ricerca sono state elaborate e sviluppate non dagli animalisti ma proprio da quegli scienziati accusati dagli antivivisezionisti di crudeltà contro gli animali. È anche vero, però, che tenendo da parte le frange più estremiste del movimento antivivisezionista, gli animalisti hanno contribuito non poco a diffondere ed aumentare la sensibilità dell'opinione pubblica e degli scienziati verso i diritti degli animali.

Una tesi contro la sperimentazione animale cara agli antivivisezionisti è quella secondo la quale l'impiego degli animali nella ricerca sarebbe sostenuto da una sorta di "congiura" internazionale della lobby degli industriali farmaceutici e cosmetici. Anche questa tesi viene esaminata solo marginalmente, dal momento che l'industria non ha alcun bieco interesse a perseverare ciecamente nella pratica della sperimentazione animale. Soprattutto i test per la tossicità vengono effettuati dall'industria cosmetica e farmaceutica per motivi burocratici più che scientifici, e potrebbero effettivamente essere ridotti o sostituiti da metodi alternativi senza nocumento per la società e con un discreto risparmio per l'industria. Anche nella ricerca farmacologica le grandi imprese farebbero volentieri a meno della sperimentazione animale, che rappresenta un costo notevolissimo che grava solo sulle spalle dell'industria. Invece la "osservazione clinica" e la sperimentazione clinica sull'uomo, propugnate come alternative dagli antivivisezionisti, non costano nulla all'industria farmaceutica. Prima dell'avvento dell'ingegneria genetica i cavalli venivano utilizzati per la produzione dei sieri antiveleni da impiegare in caso di morso di vipera e dei sieri utilizzati per la profilassi antitetanica; i diabetici, per sopravvivere, dovevano impiegare l'insulina porcina o bovina estratta dal pancreas di migliaia di animali macellati. Oggi una insulina assolutamente identica all'insulina umana, e moltissimi vaccini assolutamente sicuri vengono prodotti con le tecniche del DNA ricombinante. Paradossalmente si tratta di tecniche più costose del precedente sfruttamento degli animali, ma che permettono di ottenere prodotti sicuri come se fossero sintetizzati dal nostro stesso organismo. Eppure l'industria farmaceutica non mostra di avere difficoltà o preferenze per la commercializzazione di tali prodotti: quale interesse aprioristico dovrebbe privilegiare per perseverare nella pratica della vivisezione?

La sperimentazione e la ricerca sugli animali sono pratiche relativamente comuni nel campo della ricerca biomedica, affiancate alla sperimentazione e la ricerca sull'uomo. Si tratta di qualcosa di più ampio e sfumato della "vivisezione" contro la quale si battono i movimenti animalisti: la propaganda antivivisezionista diffonde da trent'anni foto, filmati e relazioni (spesso sempre le stesse) su agghiaccianti ed inutili esperimenti che fanno molta presa sulla emotività delle persone di buon cuore, ma non sono affatto esemplificativi di cosa sia veramente la sperimentazione animale. Chiunque può e deve battersi contro gli esperimenti inutili e crudeli, ma questa non deve essere una giustificazione per la completa abolizione dell'impiego degli animali nella ricerca. La "vivisezione" non è solo e non è più una scimmia chiusa in gabbia con un fascio di cavi elettrici che le fuoriescono dal cranio; sperimentazione animale significa ricerca farmacologica, nuove tecniche chirurgiche, allevamento di animali per sfruttarne tessuti o sostanze organiche, collaudo di materiali e dispositivi da impiegare sull'uomo. Antibiotici e vaccini, antiipertensivi, farmaci antiulcera, antiasmatici sono classi di medicinali messi a punto e sviluppati grazie alla sperimentazione animale, che ha permesso alla moderna medicina di ottenere risultati conclusivi in patologie importantissime. La mortalità delle malattie che nel passato falcidiavano l'umanità è stata abbattuta anche oltre il 90%: l'epidemia di influenza "spagnola" agli inizi del '900 fece più vittime della prima guerra mondiale, mentre oggi una influenza non terrorizza più nessuno; alcuni flagelli dell'umanità sono praticamente scomparsi dalla faccia del pianeta o si curano con poche iniezioni, come la polmonite o la meningite; milioni di persone in tutto il mondo sopravvivono nonostante la cardiopatia ipertensiva o il diabete o l'insufficienza renale grazie alla terapia. I farmaci hanno praticamente cancellato la necessità di rischiosi interventi chirurgici come le resezioni gastriche per l'ulcera peptica, un tempo comuni, e d'altra parte nuovi strumenti e tecniche chirurgiche meno invasive sono state messe a punto sperimentando sugli animali, come nel caso della chirurgia laparoscopica e miniinvasiva. Oggigiorno un numero sempre maggiore di interventi chirurgici viene convertito all'impiego di una tecnica che, al prezzo dell'impiego di apparecchiature sofisticate e di una maggiore difficoltà per il chirurgo, offre la cura da molte patologie ad un costo in termini di dolore, morbilità, invalidità temporanea del paziente incomparabilmente minori rispetto al passato. Ma prima di riuscire a compiere una colecistectomia laparoscopica sull'uomo se ne sono eseguite tantissime sul maiale. Qualunque nuova tecnica chirurgica, qualunque nuovo materiale chirurgico (nuovi fili di sutura riassorbibili e dotati di migliori caratteristiche, reti protesiche utilizzate nella riparazione delle ernie, cristallini artificiali per la cura della cataratta, protesi valvolari per la sostituzione delle valvole cardiache, protesi vascolari per rimpiazzare aorte e carotidi malate, e moltissimi altri dispositivi impiantabili) prima di essere sperimentati sull'uomo, vengono provati prima sugli animali, per garantire un margine di sicurezza e minimizzare i rischi. La chirurgia dei trapianti e la ricerca sugli organi artificiali (rene, macchina cuore-polmone, cuore e pancreas artificiali impiantabili etc.) è stata ed è possibile solo grazie allo studio preventivo sugli animali. La chirurgia non è una professione, è un "mestiere" che richiede notevole manualità, e la manualità non si impara leggendo i libri: si apprende muovendo le mani. Prima sui cadaveri, ma poi anche sugli animali, perchè una tecnica chirurgica non deve essere eseguita in modo semplicemente "elegante", ma deve essere efficace, e l'efficacia la si può testare solo dai risultati che determina su un corpo vivo, man mano che la guarigione procede. E prima di "provare" su un uomo, qualunque chirurgo vuole essere tranquillo di essere in grado di eseguire l'intervento bene e con profitto; in caso contrario il paziente (o i suoi eredi...) avranno motivo di lamentarsi del trattamento subito. Alcuni interventi, come quelli di microchirurgia per il reimpianto di estremità amputate, sono possibili solo grazie all'accurato training del chirurgo, che si addestra e continua ad allenarsi a confezionare microanastomosi vascolari operando dei piccoli topi. È il sacrificio di questi animali che consente ad un operaio che ha visto schizzare via due dita della mano per un incidente con la sega elettrica di riacquistare un arto totalmente efficiente. Anche le nuove prospettive che si aprono, sia nel campo dei trapianti come in quello della produzione di sostanze attive grazie agli animali transgenici, sono assolutamente entusiasmanti: farmaci oggi costosissimi, che devono essere estratti lavorando particolari tessuti di un grandissimo numero di cadaveri umani (con tutti i rischi connessi della possibile trasmissione di malattie) saranno ottenuti con poca spesa e in totale sicurezza dal latte di pecore e capre geneticamente modificate, e maiali transgenici potranno fornire cuori da trapiantare nell'uomo senza alcun rischio di rigetto.

La maggior parte degli esempi appena citati rappresenta campi nei quali non esiste alcuna alternativa valida all'impiego degli animali da laboratorio. È perciò vuota e priva di significato l'argomentazione degli antivivisezionisti secondo la quale, seppure nel passato la sperimentazione sugli animali può avere contribuito al progresso della conoscenza medica, si tratta di un metodo oggi non più praticabile perchè sostituibile con altre tecniche. Quello che accade, nella ricerca di base come nell'industria farmaceutica, è che non esistono metodi "alternativi" alla sperimentazione animale. Esistono tecniche "complementari", che possono ridurre l'impiego degli animali, ma non possono sostituirlo completamente. I metodi proposti dagli antivivisezionisti sono in genere o fantasie irrealizzabili, oppure utili complementi che non possono sostituire la sperimentazione in vivo. Ricordo che uno dei "cavalli di battaglia" degli antivivisezionisti è sempre stato l'impiego delle simulazioni al calcolatore: peccato che le simulazioni computerizzate siano dei modelli, e che i dati per costruire un modello di simulazione aderente alla realtà debbano essere ricavati dalla realtà: se non si conosce il comportamento di una sostanza in un organismo, è un po' difficile costruire un modello matematico che lo simuli a partire da variabili note. Difatti non esistono alternative all'uso di modelli animali per effettuare studi di farmacocinetica (ADME, Assorbimento, Distribuzione, Metabolismo ed Escrezione di un farmaco); sebbene gli animalisti affermino che i dati ottenuti in questo modo non sono attendibili, non si comprende con quali altre tecniche ricavarli.

Il motivo fondamentale per cui non è possibile fare a meno della sperimentazione animale è rappresentato dalla complessità dei sistemi biologici, una complessità che si stratifica su molti livelli. A ciascun livello emergono caratteristiche nuove, e l'organizzazione, le interazioni e le relazioni che si instaurano tra le varie strutture non possono essere dedotte dallo studio delle caratteristiche delle singole parti costituenti. Dalla complessità dell'organizzazione emerge l'informazione che non è scritta nelle strutture dell'organizzazione stessa. In altre parole, studiare un omogenato cellulare non è la stessa cosa che studiare una cellula integra. E studiare una coltura cellulare non è la stessa cosa che studiare un tessuto in vitro. E studiare un tessuto in vitro non è la stessa cosa che studiare un organo isolato. E studiare un organo isolato non è la stessa cosa che studiare un intero organismo. Quindi studiare gli effetti e le interazioni di una sostanza o di un dispositivo con un sistema in vitro o con un organo perfuso non può fornire le stesse indicazioni dello studio su un intero organismo. Una rapida esemplificazione di questo concetto la si può ritrovare la si può trovare nella storia della ricerca di una importante classe di farmaci antibatterici: i sulfamidici. Lo studio di un composto, il prontosil, che sulle culture in vitro dei batteri non dimostrava alcuna efficacia, subì una svolta quando venne sperimentato su topi infetti. All'interno dell'organismo, infatti, il prontosil veniva trasformato in sulfanilammide, una sostanza antibatterica molto attiva che divenne capostipite di una famiglia di farmaci molto efficaci e fruttò al suo scopritore il premio Nobel per la Medicina. Questo non è che un singolo esempio del ruolo insostituibile svolto dalla sperimentazione animale nella ricerca biomedica.

In effetti basta scorrere l'intero elenco dei premi Nobel per la Medicina, anno per anno, per rendersi conto che tutti i più significativi progressi della conoscenza in campo medico e biologico sono stati resi possibili dalla sperimentazione animale. Prima dell'avvento della medicina sperimentale e dello studio comparato che ha fornito alla fisiologia e alla patologia una solida base empirica non era stato compiuto alcuno straordinario progresso nella cura delle malattie; la medicina che noi oggi conosciamo e utilizziamo con successo è nata dal sacrificio di milioni di animali, un sacrificio che va riconosciuto, rispettato ma anche apprezzato per gli indubbi vantaggi che ha apportato all'umanità, e per i risultati promettenti che mostra nei moltissimi campi di ricerca nei quali si fa uso della sperimentazione animale. Se la ricerca biomedica ha imboccato vicoli ciechi ed è stata fonte di errori (innumerevoli, secondo gli antivivisezionisti, e vanamente coperti dall'omertà degli scienziati) questo è proprio per come procede la scienza, che impara dai propri sbagli. Denunciare l'inutilità della sperimentazione animale in base alla possibilità che questa possa condurre ad errori dimostra la fondamentale ignoranza del metodo scientifico. Nessuno glissa su errori e fallimenti, visto che il progresso della conoscenza è fatto proprio dal superamento degli errori. Ma nel campo della ricerca biomedica proprio per questo, prima di sbagliare sull'Uomo, che resta sempre l'obbiettivo ultimo della ricerca, si tenta di ridurre in ogni modo il margine di rischio. La Scienza cerca di spiegare il noto attraverso l'ignoto: cerca, cioè, nuove teorie, nuovi modelli per dare conto di fatti e fenomeni osservati. Nessuno può predire quale strada, quale ricerca potrà dare una risposta alle domande che si pongono gli scienziati. E rinunciare di principio alla sperimentazione animale significa rinunciare ad una possibile via di progresso della conoscenza che potrebbe essere di beneficio all'umanità.

Non è possibile, infatti, "saltare" il passaggio della ricerca sugli animali per andare a sperimentare direttamente sull'uomo. Il desiderio di qualunque malato e il dovere di qualunque medico è di applicare il miglior metodo di cura disponibile al momento. Quindi, se è necessario sperimentare una nuova terapia, bisogna avere molto più che astratte teorie per poter fondare un giudizio di equiparabilità tra il nuovo metodo e un metodo vecchio ma sicuro e affermato. Perchè non è certo sulle ipotesi del biochimico che ha sintetizzato una nuova molecola che ci si può basare per conoscere il meccanismo d'azione del farmaco. E purtroppo non possono essere sufficienti nemmeno le simulazioni al computer o le prove in vitro, visto che quando aumenta la complessità dei sistemi viventi aumentano anche, in modo esponenziale, le interazioni tra le parti, per cui una scimmia, o un uomo, sono qualcosa di più che la semplice somma delle singole cellule che li costituiscono. Chi mette in discussione la utilità della sperimentazione animale dimostra di non conoscere affatto come si fa della ricerca biomedica. Non è che il ricercatore si sveglia una mattina fulminato da una folgorante intuizione, disegni una nuova molecola (o un nuovo apparato) dal nulla e automaticamente conosca siti molecolari di interazione, meccanismi di effetto, interazioni con altre sostanze, velocità di assorbimento ed escrezione, modalità di degradazione, tossicità etc. etc. E quindi passa immediatamente alla sperimentazione sull'uomo. Quando si arriva a praticare la sperimentazione sull'uomo si tratta sempre di soggetti, sani o ammalati ma informati, per i quali si è cercato di non solo di rendere nullo o quasi il rischio, ma di fare in modo che l'esperimento non precluda ad una cura efficace; si cerca in pratica di fare in modo che la sperimentazione sull'uomo dia solo conferme della validità, e non sia un mezzo per indagare sulla validitàdella terapia. La sperimentazione umana si fa per la verifica finale "sul campo" della ricerca effettuata su altri modelli, teorici e pratici, di crescente complessità. Anche perchè molto spesso si tratta di testare sostanze che non hanno un effetto clamoroso su dei malati terminali che non hanno nulla da perdere, e il costo della sperimentazione sull'uomo (in termini di rischi per la sua salute) deve essere il più basso possibile. Resta il fatto che la sperimentazione umana è un corollario successivo alla sperimentazione animale; e, per rendersi conto di quanto in genere chi fa questi studi è disposto ad impegnarsi, si sappia che spesso, quando serve sperimentare un farmaco su volontari sani, i soggetti che si prestano all'esperimento sono in genere gli studenti delle facoltà di medicina e biologia.

Non è possibile negare, come alcuni antivivisezionisti fanno, i successi della medicina moderna. La sperimentazione animale ha segnato la nascita e lo sviluppo delle vaccinazioni, grazie alle quali sonostate sconfitte malattie terrificanti alle quali l'umanità aveva da sempre pagato un elevatissimo tributo di vittime innocenti. Oggi la poliomielite è praticamente sconosciuta, mentre solo poche generazioni fa era tristemente nota quasi in ogni famiglia, e il vaiolo è stato completamente eradicato dalla faccia del pianeta, ed è diventato solo un capitolo dei libri di storia della medicina. I bambini non muoiono più di difterite, la mortalità perinatale è scesa a valori bassissimi; morire "di parto" non era un evento raro. Se la durata media della vita prevedibile per un italiano oggi supera gli 80 anni, mentre al tempo dell'antica Roma arrivava a stento ai 35 anni (e gli antichi romani vivevano sicuramente in un modo e in un mondo molto più "naturali" dei nostri) lo dobbiamo all'aumento della ricchezza e ai progressi in campo igienico e medico resi possibili dalla evoluzione delle conoscenze scientifiche, ottenuta con la sperimentazione sugli animali prima, sull'uomo poi.

La propaganda degli antivivisezionisti si basa sulla presunta differenza di ciascuna specie che renderebbe fuorvianti per l'uomo i risultati degli esperimenti sugli animali. Sono citati, a mo' di esempio, casi di sostanze attive che avrebbero effetti diversi sull'animale e sull'uomo. In verità non ci sono differenze fondamentali tra la fisiologia dei mammiferi utilizzati nei laboratori e quella dell'uomo. A fronte della apparente diversità tra uomini e animali, le similitudini sono assai più numerose di quanto la gente comune possa pensare: i meccanismi di controllo endocrino, i processi metabolici, la meccanica della respirazione, della circolazione ematica, l'architettura del sistema nervoso, la risposta infiammatoria agli stimoli flogistici sono in gran parte i medesimi. Alcuni processi metabolici sono addirittura uguali in tutti gli esseri viventi, dai batteri e protozoi all'uomo. Comunque si deve tenere conto del fatto che non si pretende che l'animale di laboratorio rispecchi fedelmente le condizioni studiate nell'uomo: esso rappresenta un modello, impiegato per studiare un processo particolare. A questo punto anche le differenze che si possono riscontrare tra uomo e animale sono preziose, perchè possono rendere più facile la comprensione dei meccanismi d'azione di sostanze attive, o dei fenomeni non altrimenti studiabili nell'uomo. Per fare un esempio concreto, una intera famiglia di linfociti umani, i linfociti "B", sono denominati così perchè sono stati identificati grazie agli studi sull'apparato immunitario degli uccelli, che è diverso dal nostro e comprende un organo inesistente nell'uomo, la "Borsa di Fabrizio", nel quale i linfociti B (Bursali) vengono a maturazione. La chiave di lettura della sperimentazione animale è molto meno semplicistica di quello che gli antivivisezionisti vogliono far credere: sperimentare un farmaco sugli animali non significa somministrare tot milligrammi di sostanza a cento cavie e sedersi ad aspettare di osservarne gli effetti per poi decidere, in base al risultato, se impiegare o meno la sostanza sull'uomo. Sperimentare un farmaco non significa "osservare" degli effetti, ma "capire" perchè tali effetti si manifestano. E così è facile smontare i falsi miti propalati dagli antivivisezionisti. Gli animalisti affermano, ad esempio, che la penicillina non sarebbe mai stata utilizzata sull'uomo se prima gli scienziati l'avessero sperimentata sui porcellini d'India: la penicillina, infatti, sarebbe estremamente tossica sulle cavie. In realtà le cavie reagiscono alla somministrazione di questo antibiotico nello stesso modo di alcuni pazienti sottoposti a terapie a lungo termine: l'effetto di alterazione della penicillina sulla normale flora batterica intestinale determina l'evoluzione di una forma di colite per la quale è responsabile nell'uomo e nella cavia lo stesso agente microbico, il Clostridium difficile. Un altro "cavallo di battaglia" che non manca mai di essere citato dagli antivivisezionisti è il caso del talidomide, un tranquillante che, tra gli anni '50 e '60, somministrato a donne in gravidanza, determinò gravi malformazioni neonatali (amelia, focomelia). Tale caso è per gli antivivisezionisti un lampante esempio di come la sperimentazione animale fornisca indicazioni fallaci e non utilizzabili sull'uomo, dal momento che il farmaco era stato "ampiamente provato sugli animali" senza evidenziare gli effetti teratogeni. La verità, invece, è che il caso del talidomide è un buon esempio di come possa essere rischioso introdurre nella terapia umana farmaci non sufficientemente testati sugli animali: il farmaco non era mai stato provato in femmine gravide di animali, e quando venne lanciato l'allarme per l'osservazione di deformità dei feti umani venuti in contatto con il tranquillante durante la gravidanza, si constatò che questa sostanza causava anomalie fetali anche nei conigli, nei ratti, nei topi, nei criceti ed in parecchie specie di scimmie. Se il farmaco fosse stato studiato con maggiore rigore -come da allora è divenuta consuetudine- non sarebbe mai stato commercializzato come sedativo utilizzabile anche in gravidanza (c'è anche da aggiungere che il talidomide è un farmaco assai utile e tuttora utilizzato per il trattamento dei gravi dolori associati alle lesioni acute dei pazienti affetti dalla lebbra).

La propaganda degli antivivisezionisti e' ricca di leggende come queste, che, volendo, possono essere esaminate in dettaglio. Al di là della loro oggettiva falsità, tutti questi esempi mostrano che per molti antivivisezionisti la lotta contro la sperimentazione animale è anche la lotta contro la ricerca farmaceutica e l'impiego di farmaci, ritenuti pericolosi per la salute. Naturalmente tali antivivisezionisti non si rendono conto che nessun medico promette mai guarigioni miracolose e certe. I medici sanno perfettamente che i farmaci sono sostanze che interferiscono con il normale funzionamento dell'organismo, e sanno anche che i farmaci non hanno effetti "benefici": sono sostanze "attive" dotate di svariati effetti, che vanno somministrate a giudizio del medico, se e quando i vantaggi determinati dalla assunzione del medicamento superano gli svantaggi (cioè gli "effetti collaterali"). È il medico, che in scienza e coscienza, applicando le proprie conoscenze con diligenza, prudenza e perizia, decide che il tale farmaco è utilizzabile o meno sul tale paziente, per ottenere un certo beneficio. Solo i maghi, i guaritori e gli stregoni assicurano la guarigione certa. I medici possono assicurare solo le migliori cure possibili, perchè proprio grazie agli studi e alle conoscenze accumulate conoscono i propri limiti. Con tutti questi limiti, tuttavia, e pur conoscendo le proporzioni mondiali del business farmacologico, attorno al quale inevitabilmente ruotano anche interessi economici non proprio limpidi, rimane il fatto non contestabile che i farmaci, ottenuti con la ricerca sugli animali, funzionano: la riduzione della morbilità, il miglioramento della qualità della vita e della durata e della aspettativa di vita per la popolazione generale sono diretta conseguenza del miglioramento delle cure mediche. Che poi alcuni farmaci vengono ritirati dal mercato è anche la normale conseguenza di un processo evolutivo che vede l'introduzione di nuove sostanze, più efficaci e meno pericolose. Episodi grossolani come quello del talidomide non si sono mai più verificati, perchè la scienza impara anche dai propri errori. Forse gli antivivisezionisti ritengono che la ricerca si possa fare con la sfera di cristallo, e che gli scienziati, ispirati direttamente dalla divinità, possano sfornare soluzioni puntuali e perfette per i problemi dell'umanità. Purtroppo non è così: ogni nuova scoperta ha le sue fondamenta nelle conoscenze e negli errori del passato. A fronte delle decine e centinaia di farmaci che nel corso della storia della farmacologia moderna sono stati ritirati dal mercato perchè inutili o pericolosi, rimangono decine e centinaia di migliaia di farmaci che sono stati utilizzati e ancora vengono impiegati da miliardi di persone, con grande beneficio.

Non si creda che gli anivivisezionisti si battano solo contro l'uso dei farmaci; essi hanno avuto anche il coraggio (o la sfrontatezza) di attaccare la chirurgia dei trapianti, con tutto quel che ne consegue. A parte qualsiasi considerazione sulla storia dei trapianti, che ovviamente, dopo la fase sperimentale sugli animali ha trascorso un periodo travagliato di sperimentazione anche sull'uomo, con risultati via via sempre più incoraggianti, gli antivivisezionisti sono arrivati a negare i vantaggi attuali della chirurgia dei trapianti. La sopravvivenza entro un anno dal trapianto cardiaco è passata dal 20% nel 1968 al 95% nel 1984, e attualmente sopravvivono trapiantati che subirono l'operazione più di venti anni fa! Le casistiche aggiornate presentano risultati ancora più entusiasmanti, sopratutto nel campo del trapianto renale che è ormai un intervento di routine, e di trapianto delle cornee, che è in grado di ridare la vista a persone altrimenti condannate alla cecità. L'alternativa al trapianto d'organo, spesso, è la morte o una gravissima invalidità, e a fronte di queste prospettive gli antivivisezionisti non offrono alcun valido trattamento; citano però oscuri e misteriosi pamphlet dai quali emergono invariabilmente dati molto negativi e giudizi assai critici sui trapianti e su quant'altro di buono c'è nella Medicina moderna. Questa tecnica, abbastanza abituale, sfrutta o vere e proprie falsità, o travisamenti della realtà, e cita personaggi sconosciuti oppure assai noti (e, in genere, molto datati), ma che hanno poco a che fare con la ricerca biomedica, e mancano perciò delle competenze tecniche per esprimere giudizi motivati.

Chi conosce come si fa la ricerca biomedica sa che nessuno scienziato elabora dal nulla una complessa teoria che poi può passare a sperimentare direttamente sull'uomo. La sperimentazione inizia dalle primissime fasi ideative, e a volte sono osservazioni sperimentali casuali che possono indirizzare all'elaborazione di nuove applicazioni pratiche. Si studia per valutare la fattibilità di nuove idee, e poi si continua a sperimentare, durante tutto il lungo iter che conduce fino alla ricerca sull'uomo, allo scopo di ottenere quelle conoscenze che ci permettono di combattere il dolore e le sofferenze degli uomini ammalati. Anche sapendo che per questo sono stati sacrificati degli animali. Sperando che un domani questo non sia più necessario. Ma il malato bisognoso chiede ora l'aiuto dei medici, e non può aspettare futuri, fantascientifici sviluppi di tecniche che forse un giorno potranno soppiantare la ricerca sugli animali. Alla fine il discorso si riduce a questo: vogliamo mettere le sofferenze degli uomini e quelle degli animali sullo stesso piano, o dobbiamo preoccuparci delle sofferenze degli uomini prima di quelle degli animali?


Mario Campli
Medico Chirurgo
Specialista in Chirurgia d'Urgenza e Pronto Soccorso