La fitoterapia: la cura "dolce" dalla natura

di Mario Campli


Fitoterapia è un termine ambiguo, che accomuna una nobile branca antenata, anzi, madre della moderna farmacologia, e tuttora dotata di valenza terapeutica anche ad alto livello, e una moda volgare, un po' cialtronesca e stregonesca, propagandata da ciarlatani della peggior specie, che cavalcano l'onda di un diffuso e irrefrenabile desiderio di "ritorno alla natura". Questo sentimento, abbondantemente stimolato dai sogni e le evocazioni di paesaggi bucolici e incontaminati cui ci hanno abituato gli spot pubblicitari, spinge i consumatori ad impiegare nella alimentazione e nella terapia sostanze "naturali...", "integrali..." e simili, con la convinzione che quanto c'è di "naturale" è automaticamente più sano e più sicuro.

In effetti le piante contengono moltissimi principi farmacologicamente attivi, che l'uomo ha usato da millenni per curare (o per uccidere...) i suoi simili. È a partire da questi principi attivi che è andata evolvendo la moderna farmacopea, la quale ancora oggi ricerca e indaga nuovi farmaci cercando tra le sostanze contenute nelle piante. Una tisana acquistata dall'erborista difficilmente è "acqua fresca" -come invece può essere definito un rimedio omeopatico- poichè contiene sostanze attive ed efficaci che possono manifestare effetti vistosi sull'organismo, benefici o meno.

È utile rivolgersi alla fitoterapia? Per quello che riguarda la terapia, assumere un farmaco preparato industrialmente non è solo più comodo che prepararsi un decotto: è più sicuro! Vi è innanzitutto la questione di dosaggi: quanto tempo bolle l'acqua, quanto restano in infusione le erbe, in quanta acqua, a quale temperatura...? Le variabili che determinano l'estrazione del principio attivo dalla pianta all'infuso sono tantissime: basta riflettere su quanti modi diversi esistono per preparare una tazza di tè per capire che stabilire il dosaggio del principio attivo che si sta per assumere è quanto meno problematico. Diventa risibile considerare la cura con la quale l'erborista con il bilancino dosa accuratamente i centigrammi della miscela di erbe che ha preparato, sapendo quanto la concentrazione del principio attivo nella medesima pianta possa essere mutevole in base alla natura chimica del terreno di coltivazione, all'andamento della stagione con le variazioni di soleggiamento e irrigazione, alle modalità di essiccazione e conservazione, all'invecchiamento del preparato... e così via. Inoltre una tisana presa dall'erborista non contiene il singolo principio attivo che fa al caso specifico, purificato e dosato accuratamente: è un vero cocktail non necessariamente benefico, anzi, è proprio il caso di dirlo, è un "minestrone" di sostanze, e non tutte inevitabilmente salutari. Facciamo un esempio concreto: una terapia molto alternativa (e per nulla efficace) per la cura del "cancro" e di molti altri malanni è il frullato miracoloso di padre Zago, un frate francescano che avrebbe preparato una ricetta a base di aloe vera, miele vergine d'api e arak (un liquore, eventualmente sostituibile con whisky, cachaça, grappa o tequila, secondo i gusti, la disponibilità e le usanze locali...). Molti alternativi hanno esultato alla notizia che alcuni ricercatori hanno isolato dall'aloe vera una molecola, l'aloe-emodina, che sembrerebbe attiva in particolari tumori di origine neuroectodermica in età pediatrica (il neuroblastoma, il sarcoma di Ewing) e forse, in un prossimo futuro, potrebbe trovare impiego anche nel trattamento dei melanomi. Questa sembrerebbe una clamorosa conferma alla intuizione di padre Zago, che avrebbe, questa sì, un valore "miracoloso". Purtroppo non è così: tanto per cominciare, gli studi, per quanto promettenti, sono ancora in alto mare, e dovranno trascorrere ancora anni prima di dimostrare la eventuale efficacia dell'aloe-emodina nell'uomo. Inoltre la sostanza studiata non è affatto una panacea efficace contro qualunque tipo di tumore, ma avrebbe delle specifiche e limitate indicazioni. Infine, sebbene aloe vera contenga questa sostanza dalle supposte attività antitumorali, è certo che questa pianta è ricchissima di antrachinoni tossici, che esplicano una violenta e potente azione purgativa che, oltre all'effetto immediato, riservano gravi danni all'intestino e alle sue funzioni in caso di assunzione cronica. È appurato che l'impiego continuato di queste sostanze espone ad un elevato rischio genotossico: che vuol dire, tradotto per i profani, che la pianta assunta per curare il cancro potrebbe favorirne in realtà l'insorgenza!

L'effetto farmacologico di una sostanza dipende dalla sua natura chimica e dal suo dosaggio. Il farmaco acquistato in farmacia contiene in genere uno o più principi attivi purificati e dosati con attenzione: è per questo che è possibile individuare con precisione gli effetti ottenibili con la somministrazione di un preparato commerciale. Il fatto che i farmaci abbiano degli "effetti collaterali" (fenomeno questo che in genere fa rabbrividire gli amanti della natura) è la naturale conseguenza della conoscenza che abbiamo dei principi attivi. I farmaci hanno degli effetti, punto e basta. Sono in relazione al dosaggio, e non è detto che siano negativi. Il fatto che l'aspirina abbia un effetto antiaggregante ne preclude l'impiego come antidolorifico per le estrazioni dentarie, ma diventa il motivo della somministrazione in un paziente portatore di valvola cardiaca! Il fatto è che bisogna sempre valutare svantaggi e vantaggi della somministrazione del farmaco, in rapporto ai benefici che si potranno ottenere e in relazione al "costo" per il paziente. Ma viviamo in una società nella quale la gente sente il bisogno di essere confortata ad ogni costo: e così abbiamo da una parte persone che ingoiano farmaci come fossero caramelle, e dall'altra "naturisti" che, per trovare la soluzione alle loro "sofferenze" si rivolgono, ad esempio, all'erboristeria, in base alla convinzione che un prodotto "naturale" non può essere dannoso, dimenticando che le piante possono essere velenose: cicuta, curaro, belladonna, digitale, ma anche il comune prezzemolo, e certe parti della pianta del pomodoro e della patata!!! Altro, che natura inoffensiva! La questione è che solo la conoscenza scientifica permette di volgere a nostro vantaggio l'impiego dei principi naturali: la digitale e il curaro, da veleni che erano, sono stati trasformati in farmaci potenti, efficaci e utilizzatissimi, come possono testimoniare centinaia e centinaia di milioni di cardiopatici e di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico. Questo suggerisce di valutare con attenzione, e forse anche un po' di scetticismo le indicazioni tradizionali dei preparati fitoterapici, frutto di valutazioni empiriche non sempre dimostrate con studi scientificamente rigorosi. Tutto ciò non è un argomento contro la fitoterapia, ma un monito ad esercitare una grande cautela. Poichè nelle erbe sono contenute molte sostanze con azione farmacologica, quindi potenzialmente utili alla salute umana, bisognerebbe utilizzare i rimedi fitoterapici con cognizione di causa, cosa che si può dire del farmaco prescritto dal medico e assunto secondo le modalità richieste, ma che non sempre si può dire del rimedio erboristico (prescritto su indicazione di chi? preparato da chi? venduto da chi?...) Anche i farmaci da banco possono essere venduti senza prescrizione medica, e anche i farmaci da banco possono determinare danni gravi -e al limite la morte-, come può testimoniare qualunque medico che abbia fronteggiato una gastrite emorragica da FANS. Pur tuttavia, al farmaco da banco è sempre associata una autorizzazione erogata da un ente di controllo, e delle istruzioni chiare e dettagliate su posologia, indicazioni, controindicazioni ed effetti collaterali del prodotto, tant'è che gli eventi avversi si manifestano, generalmente, per un uso improprio. Oggi come oggi, invece, non esistono regole chiare e sistematiche che guidino il paziente nell'uso proprio dei rimedi fitoterapici. E la prova dell'efficacia della fitoterapia finisce per essere, paradossalmente, il lungo elenco di danni, lesioni e perfino morti che questa pratica terapeutica, quando affrontata con leggerezza e senza preparazione specifica, può determinare. Per chi fosse curioso, è disponibile per la consultazione una raccolta di articoli pubblicati sulle riviste scientifiche internazionali sull'argomento. Una parziale soluzione ad alcuni dei problemi illustrati in questo scritto è l'impiego di fitoterapici confezionati industrialmente, nei quali esiste, almeno, la sicurezza del dosaggio del principio attivo. Ma occorrono anche studi approfonditi sulle interazioni tra le sostanze (i cosiddetti "fitocomplessi", che tanto piacciono ai fautori della fitoterapia per le benefiche sinergie che ne scaturirebbero, tutte da dimostrare), gli effetti dose-dipendenti, le indicazioni e soprattutto le controindicazioni dei rimedi fitoterapici. Simili studi hanno dei costi di realizzazione, e non è pensabile possano essere tutti svolti da istituzioni di ricerca pubbliche senza fini di lucro. Difatti molte grandi aziende farmaceutiche tradizionali finanziano questi studi, e commercializzano con etichette "dedicate" al prodotto "naturale" preparati fitoterapici standardizzati e titolati. I fautori della fitoterapia naturale rigettano tutto ciò come uno stravolgimento di qualcosa che è libera da ogni vincolo e ogni brevetto. Ma la sicurezza d'impiego ha un costo, e questo costo va pagato, a rischio altrimenti di rimetterci qualcosa di più prezioso del denaro: la propria salute, o la propria vita.

Accanto a fitoterapici "efficaci" (tanto efficaci da potere risultare pericolosi, come spesso è il caso dei lassativi vegetali a base di cascara, frangula e senna), ci sono poi le erbe "di moda", che si assumono sulla base di indicazioni tradizionali non ben dimostrate o talvolta esageratamente sovrastimate, come è il caso del Gingko biloba. Questo rimedio viene accreditato anche da serie sperimentazioni scientifiche come "in grado di migliorare le capacità cognitive"... Ma forse non è tutto oro quello che luce.

Probabilmente, almeno nel mondo occidentale, non abbiamo bisogno di un ricorso sistematico ed intensivo alla fitoterapia. Nessuno si straccerà le vesti se si preferisce una tisana di tiglio e camomilla alle gocce serali di una benzodiazepina, anzi! La prima soluzione è certo più sana e salutare della seconda. La farmacologia ha certamente ancora bisogno della fitoterapia, dai cui principi attivi si possono derivare cure efficaci e preziose. Ma, in sostanza, la fitoterapia non può sostituire la terapia farmacologica scientifica: entro certi limiti può supplirne la funzione, ed è infatti un presidio riconosciuto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che in determinate culture ed in vaste aree geografiche ha una valenza terapeutica importante e non sostituibile in base alle risorse locali. Ma la risorsa globale più potente di cui l'umanità dispone resta la propria intelligenza, guidata dalla scienza alla scoperta e alla comprensione del mondo, per cui non rimane che auspicare che della fitoterapia si possa fare un uso intelligente.


Mario Campli
Medico Chirurgo
Specialista in Chirurgia d'Urgenza e Pronto Soccorso